Paco Roca, L'inverno del disegnatore, Tunuè, Latina, 2011.
Edizione originale spagnola: El invierno del dibujante, Astiberri, 2010.
Io di Paco Roca avevo già letto la graphic novel Rughe, e mi ero addirittura commossa. Un racconto magistrale sull'alzheimer, la vecchiaia e la vita, che stra-consiglio a tutti. Questo per dire che ero partita con delle aspettative discretamente alte: sapevo che L'inverno del disegnatore non era un romanzo, ma confidavo nell'abilità narrativa di Roca.
In effetti non sono stata tradita.
Credo che quello che più mi piaccia, di questo autore, sia il suo tratto: è netto, senza incertezze, terribilmente immutabile. Eppure espressivo. In Rughe, il solo volto di Emilio riusciva a trasmettere con i suoi piccoli occhi lo spaesamento totale, l'incomprensibilità non della malattia, ma della vita. Nell'Inverno del disegnatore - che ha più personaggi e meno primi piani - , anche solo l'atteggiamento dei protagonisti racconta bene personalità e sensazioni.
E poi c'è questa trovata dei colori: non più pagine bianche, ma colorate. Un colore per ogni stagione in cui si svolge la storia: blu, giallo, rosa e marrone, mischiati in un intreccio non cronologico. Serve per ribadire l'alternanza dei tempi in una storia di ampio respiro, ma trasmette anche diversi stati d'animo: come si può non capire che tutto è finito, se ogni cosa è autunnale e marrone e spenta? E il blu, non significa un congelamento di rapporti e contatti, destinato però non a sciogliersi e non decomporsi?
Per quanto riguarda la trama, siamo di fronte a un capitolo di storia del fumetto, spagnolo e non solo. Nel 1957, in piena dittatura franchista, alcuni disegnatori della casa editrice Bruguera decidono di fondare una rivista indipendente, «Tío Vivo». Carlos Conti, Guillermo Cifré, Josep Escobar, Eugenio Giner e José Penarroya vanno così a creare la prima casa editrice formata dagli autori stessi: fra i loro obiettivi, ribadire il diritto a essere considerati artisti e non meri operai del disegno. All'epoca, infatti, autori e disegnatori non conservavano alcun diritto sui propri lavori: avevano contratti da dipendenti, e lo sfruttamento dei loro fumetti era totalmente in mano alla casa editrice che li aveva assunti. Lo stesso avveniva in realtà in Italia, come racconta l'interessantissima prefazione di Carlo Chendi, sceneggiatore disneyano e di altre testate sin dal 1952.
L'avventura di «Tío Vivo» in realtà finisce male: i fumettisti, vittime anche di un sabotaggio distributivo, sono costretti a tornare nella scuderia Bruguera, alle stesse condizioni vessatorie con cui l'avevano lasciata. Poi negli anni le rivendicazioni degli autori continueranno, fino ad arrivare alla situazione attuale, in cui un fumettista comincia finalmente ad essere considerato un vero e proprio autore. Ma quest'ultima parte non viene raccontata da Roca.
A parte i colori, mi ha molto colpito anche un personaggio: Victor Mora, al tempo dei fatti redattore per Bruguera. Di natura era sceneggiatore; ma venne pian piano convinto dal direttore editoriale González a concentrarsi di più sul lavoro tecnico. In ogni caso, venne arrestato poco dopo dal regime in quanto comunista, e costretto alla fuga in Francia, dove divenne autore di romanzi.
Risulta quindi chiaro che si tratta di un vero narratore, che sarebbe stato comunque difficile imbrigliare. È a lui che viene rivolto, più volte nel fumetto, un appellativo importante, quello di sognatore.
Non ai fumettisti che stanno costituendo una nuova rivista e un'inedita casa editrice; ma a un semplice amante delle storie, che vorrebbe solo avere il tempo per raccontarle tutte. È importante, perchè sognatore si definisce anche Will Eisner, in un'altra opera sulla storia del fumetto - questa volta statunitense:
Probabile che si tratti di una citazione. Ma, attenzione, altro colpo di scena! L'inverno del disegnatore fa parte della collana di graphic novel «Prospero's Books», e così, nella prima pagina del volume, si legge:
Edizione originale spagnola: El invierno del dibujante, Astiberri, 2010.
Io di Paco Roca avevo già letto la graphic novel Rughe, e mi ero addirittura commossa. Un racconto magistrale sull'alzheimer, la vecchiaia e la vita, che stra-consiglio a tutti. Questo per dire che ero partita con delle aspettative discretamente alte: sapevo che L'inverno del disegnatore non era un romanzo, ma confidavo nell'abilità narrativa di Roca.
In effetti non sono stata tradita.
Credo che quello che più mi piaccia, di questo autore, sia il suo tratto: è netto, senza incertezze, terribilmente immutabile. Eppure espressivo. In Rughe, il solo volto di Emilio riusciva a trasmettere con i suoi piccoli occhi lo spaesamento totale, l'incomprensibilità non della malattia, ma della vita. Nell'Inverno del disegnatore - che ha più personaggi e meno primi piani - , anche solo l'atteggiamento dei protagonisti racconta bene personalità e sensazioni.
E poi c'è questa trovata dei colori: non più pagine bianche, ma colorate. Un colore per ogni stagione in cui si svolge la storia: blu, giallo, rosa e marrone, mischiati in un intreccio non cronologico. Serve per ribadire l'alternanza dei tempi in una storia di ampio respiro, ma trasmette anche diversi stati d'animo: come si può non capire che tutto è finito, se ogni cosa è autunnale e marrone e spenta? E il blu, non significa un congelamento di rapporti e contatti, destinato però non a sciogliersi e non decomporsi?
Per quanto riguarda la trama, siamo di fronte a un capitolo di storia del fumetto, spagnolo e non solo. Nel 1957, in piena dittatura franchista, alcuni disegnatori della casa editrice Bruguera decidono di fondare una rivista indipendente, «Tío Vivo». Carlos Conti, Guillermo Cifré, Josep Escobar, Eugenio Giner e José Penarroya vanno così a creare la prima casa editrice formata dagli autori stessi: fra i loro obiettivi, ribadire il diritto a essere considerati artisti e non meri operai del disegno. All'epoca, infatti, autori e disegnatori non conservavano alcun diritto sui propri lavori: avevano contratti da dipendenti, e lo sfruttamento dei loro fumetti era totalmente in mano alla casa editrice che li aveva assunti. Lo stesso avveniva in realtà in Italia, come racconta l'interessantissima prefazione di Carlo Chendi, sceneggiatore disneyano e di altre testate sin dal 1952.
L'avventura di «Tío Vivo» in realtà finisce male: i fumettisti, vittime anche di un sabotaggio distributivo, sono costretti a tornare nella scuderia Bruguera, alle stesse condizioni vessatorie con cui l'avevano lasciata. Poi negli anni le rivendicazioni degli autori continueranno, fino ad arrivare alla situazione attuale, in cui un fumettista comincia finalmente ad essere considerato un vero e proprio autore. Ma quest'ultima parte non viene raccontata da Roca.
A parte i colori, mi ha molto colpito anche un personaggio: Victor Mora, al tempo dei fatti redattore per Bruguera. Di natura era sceneggiatore; ma venne pian piano convinto dal direttore editoriale González a concentrarsi di più sul lavoro tecnico. In ogni caso, venne arrestato poco dopo dal regime in quanto comunista, e costretto alla fuga in Francia, dove divenne autore di romanzi.
Risulta quindi chiaro che si tratta di un vero narratore, che sarebbe stato comunque difficile imbrigliare. È a lui che viene rivolto, più volte nel fumetto, un appellativo importante, quello di sognatore.
Non ai fumettisti che stanno costituendo una nuova rivista e un'inedita casa editrice; ma a un semplice amante delle storie, che vorrebbe solo avere il tempo per raccontarle tutte. È importante, perchè sognatore si definisce anche Will Eisner, in un'altra opera sulla storia del fumetto - questa volta statunitense:
Probabile che si tratti di una citazione. Ma, attenzione, altro colpo di scena! L'inverno del disegnatore fa parte della collana di graphic novel «Prospero's Books», e così, nella prima pagina del volume, si legge:
«Noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni...»
(Prospero, da --La Tempesta-- di William Shakespeare)
Una collana di graphic novel, in cui quindi questo fumetto non rientra proprio appieno (non racconta fiction): ma, di nuovo, al narratore si attribuisce il potere sciamanico di entrare nel mondo dei sogni.
È tutta una citazione? Di Eisner, di Shakespeare, del Tempo dei sogni?
In ogni caso, un piccolo tocco di poesia.
Conclusione in bellezza, con l'anteprima del fumetto:
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